Nella casa: Il potere ambiguo del racconto – Recensione

Nella casa (2012) è uno dei film più raffinati e inquietanti di François Ozon, autore francese noto per la sua capacità di giocare con i generi e con i confini tra verità e finzione. Tratto dal testo teatrale Il ragazzo dell’ultimo banco di Juan Mayorga, il film mette in scena una riflessione acuta sul potere del racconto e sulla vulnerabilità di chi si lascia coinvolgere troppo da una narrazione. Tra thriller psicologico, satira sociale e dramma borghese, Ozon orchestra un’opera che si muove con eleganza su diversi piani di realtà, lasciando lo spettatore costantemente in bilico tra fascinazione e disagio.

Un insegnante di letteratura del liceo scopre in un suo studente un sorprendente talento per la scrittura. Il ragazzo inizia a raccontare nei suoi temi la vita della famiglia borghese di un compagno di classe, che ha iniziato a frequentare. Ma il confine tra osservazione, invenzione e manipolazione si fa sempre più sottile, e il professore si lascia trascinare in un gioco ambiguo e inquietante.

L’arte come manipolazione

Al centro del film c’è una domanda chiave: che cosa accade quando ci si abbandona troppo a una narrazione? Nella casa non parla solo del piacere del racconto, ma anche della sua potenziale pericolosità. Claude è un narratore talentuoso, ma anche manipolativo. Seduce con le parole, plasma i fatti, decide cosa mostrare e cosa nascondere. In questo senso, è una figura emblematica del narratore moderno, che ha capito quanto il potere non stia nella realtà, ma nella sua rappresentazione.

Germain, che dovrebbe essere la guida adulta, finisce invece catturato dal gioco di Claude, diventando prima lettore vorace, poi complice, infine quasi vittima. In un certo senso, Nella casa è anche un film sull’insegnamento e sul rapporto docente-allievo, ma in una versione perversa: non è più il maestro a formare l’alunno, bensì il contrario. Claude mette alla prova Germain, lo costringe a interrogarsi sui limiti della scrittura, sulla moralità dell’arte, e persino sul proprio fallimento esistenziale.

La macchina Ozon

François Ozon dirige con grande sobrietà e intelligenza, evitando gli eccessi visivi e puntando tutto sul ritmo e sulla costruzione dei dialoghi. La messa in scena è rigorosa, quasi teatrale, ma capace di aprirsi a momenti di sottile inquietudine. La casa della famiglia borghese diventa così uno spazio ambiguo, quasi irreale, dove si proiettano desideri, frustrazioni e voyeurismi.

Luchini, con la sua consueta ironia malinconica, è perfetto nel ruolo dell’intellettuale disilluso, mentre Umhauer dà a Claude una presenza perturbante, sempre in bilico tra innocenza e calcolo. Kristin Scott Thomas, nel ruolo della moglie gallerista, offre un contrappunto femminile tagliente e lucido, osservatrice esterna che intuisce prima degli altri la pericolosità della situazione.

La sceneggiatura (scritta dallo stesso Ozon) è strutturata con maestria, alternando i momenti “realistici” alle letture dei temi di Claude, che diventano sequenze filmate, spesso contaminate da elementi simbolici e onirici. Questa alternanza crea un gioco continuo tra realtà e finzione, che diventa sempre più serrato man mano che il film procede.

Un finale aperto (ma rivelatore)

Senza fare spoiler, è importante sottolineare come il finale di Nella casa non dia tutte le risposte, ma anzi rilanci le domande. È un epilogo aperto, ma densissimo di significato: su ciò che resta quando una storia finisce, sul ruolo dello spettatore, sull’inesauribile desiderio umano di “entrare nelle case degli altri”, di spiare vite diverse dalla propria. E su quanto questo desiderio possa essere, in fondo, tanto estetico quanto eticamente ambiguo.

Nella casa è uno dei film più riusciti di Ozon, un’opera raffinata e stratificata che parla di scrittura, voyeurismo, educazione e manipolazione. Riesce a essere al tempo stesso avvincente come un thriller psicologico e denso come un saggio sull’arte del racconto. È il tipo di film che stimola la mente, provoca domande, e invita a riflettere non solo su quello che si è visto, ma su come lo si è visto.

Per chi ama il cinema che gioca con la struttura narrativa, che indaga i meccanismi del racconto e che non ha paura di sfumare i confini tra autore e personaggio, tra finzione e realtà, Nella casa è una visione imperdibile.

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