Under the Silver Lake: Un neo-noir pop paranoico – Recensione

Con Under the Silver Lake, David Robert Mitchell realizza un film ipnotico, ambizioso e sorprendentemente sottovalutato. Dopo il successo internazionale di It Follows, molti si aspettavano da lui un’altra pellicola di genere più convenzionale. Invece, Mitchell spiazza completamente, costruendo un racconto visionario e stratificato che sfugge a qualsiasi classificazione netta. Non è un thriller, non è una commedia, non è un horror, ma forse è tutto questo insieme.

Al centro c’è Sam (Andrew Garfield), un giovane disilluso che vive in un appartamento sciatto di Los Angeles, trascorrendo le giornate tra voyeurismo, fanzine cospirazioniste e apatia generalizzata. Quando una ragazza misteriosa scompare all’improvviso dopo aver trascorso la notte con lui, Sam inizia a indagare. Ma quella che sembra una semplice ricerca si trasforma in una spirale delirante che lo trascina nei meandri oscuri e surreali della città degli angeli.

Los Angeles è più di una semplice ambientazione: è un personaggio a sé, una mappa da decifrare, un sogno febbrile fatto di simboli occulti, passaggi segreti e codici criptati. Mitchell costruisce un viaggio visivo in cui ogni dettaglio, che sia un graffito, una melodia o un cartellone pubblicitario, sembra alludere a qualcosa di più grande, qualcosa di nascosto dietro la patina dorata della cultura pop. Il tono è quello del noir esistenziale, ma con una forte vena ironica e quasi fumettistica.

Under the Silver Lake è estremamente affascinante. È un film che ti seduce con la bellezza delle sue immagini e ti sfida a seguirlo nei suoi deliri paranoici, senza mai offrire risposte chiare. Ma non è un esercizio sterile: dietro le sue derive cospirative c’è una riflessione sincera sul bisogno quasi disperato di trovare un senso nel caos. Sam è convinto che ci sia un messaggio segreto dietro ogni canzone, ogni simbolo, ogni segnale. Ma cosa succede se dietro tutto quel rumore non c’è nulla? O, peggio ancora, se c’è davvero qualcosa, ma non ci piace quello che troviamo?

Il finale, enigmatico e volutamente sospeso, lascia aperte molte interpretazioni. Ma per me è coerente con l’intero percorso del protagonista: non si tratta di svelare un mistero, quanto piuttosto di mostrare come il desiderio di decifrare il mondo sia, in fondo, un riflesso della nostra solitudine. Non importa più se ciò che Sam scopre è vero o no: ciò che conta è come quella scoperta lo cambia, o non lo cambia affatto.

Andrew Garfield è perfetto nel ruolo: trasandato, ossessivo, a volte irritante, ma sempre credibile. La regia è sontuosa, ricca di piani sequenza e dettagli estetici curatissimi, e la colonna sonora di Disasterpeace amplifica perfettamente l’atmosfera tra nostalgia e inquietudine.

Under the Silver Lake è un’opera rara: libera, eccessiva, sincera. È stata accolta con freddezza alla sua uscita, ma sono convinto che col tempo verrà rivalutata come merita. Personalmente, l’ho trovato uno dei film più coraggiosi e originali degli ultimi anni. Un cult in attesa di essere riscoperto.

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