Definita da Francois Truffaut come la ‘quintessenza del cinema di Hitchcock’, Notorious rappresenta la maturità stilistica del regista inglese, mescolando con assoluta acutezza l’avventura ansiogena da un lato, e il melò romantico dall’altro.
SINOSSI: “La figlia di una spia nazista (Bergman) viene convinta da un agente segreto americano (Grant) a farsi sposare da uno dei capi dello spionaggio tedesco in Brasile, Sebastian (Rains), per poterlo controllare.” – Paolo Mereghetti
Ultimo film in bianco e nero ed anche ultima opera del regista britannico ad adottare come villain puri dei nazisti (dopo ‘Il prigioniero di Amsterdam, Sabotatori e Prigionieri dell’oceano), Notorious – L’amante perduta, si configura inizialmente come una pellicola di stampo spionistico, salvo poi intrecciare il significato del titolo con il racconto, affrontando temi legati alla colpa, all’alcolismo e all’infinita questione tra desiderio e dovere. Hitchcock torna ad esplorare, nell’immediatezza all’uscita del precedente ‘Io ti salverò’, la psiche umana. Questa volta lo fa attraverso un tema a lui caro, ma che ha saputo con il tempo analizzare attraverso diverse prospettive, ossia l’amore. La materia e il concetto di quest’ultimo si distacca molto in questo caso dalla matrice ansiogena e ossessiva che si prenderà la scena in opere più tarde del regista, una su tutte ‘La donna che visse due volte’. Infatti, in questo caso Elena (in originale Alicia) e Devlin sono innamorati ed attratti già da prima che la missione a Rio prenda piede, e gran parte dell’opera costruisce la narrazione attorno al logoramento che l’amore provoca nell’animo. È qui, come poteva essere anche in ‘Rebecca – La prima moglie’, che la figura femminile stenta a trovare una propria dimensione, oppressa dal peso della condanna del padre e che quindi, attraverso il ritrovamento di quello che all’apparenza (e non solo) sembra vero amore, mira ad ottenere una redenzione che la liberi dal pregiudizio altrui. La sua colpa è quella di essere figlia di un nazista, quasi fosse un peccato da espiare: ci troviamo dopotutto nel periodo immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale e tutto ciò è considerato una vera e propria macchia nella vita della donna.
L’esposizione alla gogna di Elena a partire da Madame Sebastian, fino ad arrivare a quella dei servizi segreti -comprendendo ovviamente Devlin-, è una rappresentazione feroce di ciò che simboleggiano identità e colpa effettiva: ella porta sulle spalle il peso del passato del padre, ed il suo riscatto, dunque, passa inesorabilmente dalla missione e dalla sua vita affettiva. È in un parallelismo, quello tra alcol e veleno, che si possono ritrovare le “umiliazioni” che subisce Elena di cui si parlava precedentemente: da una parte, il veleno, utilizzato come punizione per soffocare definitivamente il suo lavoro spionistico, dall’altro l’alcol, elemento utilizzato come fonte di sfogo da parte sua per reprimere ed affogare le delusioni offerte dalla vita fino a quel momento. Ed è proprio qui che Hitchcock riesce a caricare di significati simbolici dei particolari come una semplice tazza di caffè avvelenata e le inquadrature fisse sulle bottiglie di champagne e vino, elementi che nel loro insieme riescono ad incutere tensione e partecipazione emotiva dello spettatore, con tutti questi che concorrono all’illustrazione di un tema importante dell’opera, ossia quello dell’alcolismo.

Utile ed interessante portare al tempo stesso una riflessione tra le varie ambiguità morali dei personaggi. In questi ultimi, infatti, non vi è una divisione netta tra buoni e cattivi, anche lo stesso Devlin tratta con assoluta freddezza ed ingiusto distacco Elena e che per deontologia professionale è completamente inerme di fronte ai suoi sentimenti: non può infatti esimersi dal consegnare la sua amata nelle braccia del nemico. In nessuno dei personaggi, dunque, appare esserci una purezza ideale ed assoluta, sembra che in ciascuno resti un segno di imperfezione, una macchia che ne smentisce l’integrità morale. Sembra quasi un gioco di maschere, la stessa che utilizza Devlin nel presentarsi come un amico di Elena al matrimonio tra lei e Sebastian, oppure quella utilizzata da un nazista per far fuori un proprio alleato (Eric), dopo che questo si è lasciato scappare un dettaglio non insignificante ad una cena. Tutti dunque hanno un camuffamento da utilizzare nel mondo esterno per portare la storia dalla propria parte, che Hitchcock riesce a tradurre sullo schermo con l’ausilio di Ted Tetzlaff, attraverso un bianco e nero ora gelido, ora rovente.
In Notorious, il maestro inglese costruisce una delle sue sceneggiature più sofisticate della sua intera filmografia, riuscendo a coniugare tensione narrativa e raffinatezza a livello stilistico attraverso uno dei MacGuffin più emblematici della storia del cinema, soprattutto se rapportato al contesto storico in cui l’opera nasce. Quando la preparazione del film era già in uno stato avanzato, il produttore Hal B. Wallis, non convinto che l’uranio potesse servire alla costruzione di una bomba atomica (l’idea gli fu sottoposta nel 1944, un anno prima di Hiroshima), passò la mano e cedette Hitchcock, Ben Hecht, Cary Grant e Ingrid Bergman alla R. K. O., con il risultato di perdere un utile abbastanza importante, circa otto milioni di dollari. Si racconta che dopo diverse ipotesi lo stesso regista e Ben Hecht (sceneggiatore di ‘Scarface’, ‘Io ti salverò’ e ‘La signora del venerdì’) avessero optato per questo espediente narrativo: l’uranio nascosto in una delle bottiglie di vino all’interno di una cantina. Dopotutto questo aspetto era stato discusso in fase di stesura della storia, anche perché era il 1944, e non si era ancora verificato il bombardamento nucleare che colpì Hiroshima e Nagasaki.

Memorabile sotto il punto di vista tecnico la sequenza che parte dalla sommità delle scale fino ad arrivare al dettaglio della mano che stringe in maniera quasi compulsiva la chiave della cantina. Interessante notare come ben nove anni prima, durante la sua esperienza in Inghilterra, Hitchcock avesse tentato qualcosa di simile in ‘Giovane e innocente’ (Young and Innocent): all’interno di una sala da ballo, la macchina da presa superava le teste dei ballerini e si focalizzava sugli occhi del batterista assassino affetto da un irrefrenabile tic nervoso. Oppure basti pensare alla sequenza del bacio più lungo della storia del cinema fino a quel momento – una successione di piccoli baci per sviare il codice Hays – o alla carrellata finale, sempre sulla scalinata, ad accompagnare con estrema tensione e pathos i nostri protagonisti all’uscita per dirigersi verso la macchina, a sigillare la chiusura del film. Proprio quest’ultima scena può esser letta ed interpretata come una metafora dell’accompagnamento dello spettatore fuori dalla storia da parte del regista, attraverso l’uscita dalla casa in cui si sono svolti gli eventi centrali della seconda parte della pellicola.
Interpretata magnificamente da tutti i suoi attori, l’opera rimane una delle più sentimentali del regista inglese, che concentra al suo interno tutti gli argomenti a lui più cari della propria poetica come il film di spionaggio (che riprenderà successivamente soprattutto con ‘Intrigo Internazionale’), l’amore (che vedremo, come detto precedentemente, in ‘La donna che visse due volte’) e l’analisi della mente umana (come già fatto in ‘Io ti salverò). Con ‘Notorious – L’amante perduta’ si configura anche una delle coppie più affiatate dell’intera filmografia hitchcockiana, che proprio quell’anno vedrà uscire nelle sale ‘Il grande sonno’ di Howard Hawks con dei magnifici Lauren Bacall e Humphrey Bogart. Il cinema americano, dunque, in questo periodo storico (ci troviamo nel 46’), vive uno dei suoi periodi di massimo splendore, che continuerà ad essere arricchito dai successivi film del maestro inglese, mentre dall’altra parte del mondo, in Europa, iniziano a prendere forma le principali correnti cinematografiche come il cinema post-bellico giapponese o il Neorealismo Italiano.


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