The Ugly Stepsister: La Fiaba di Cenerentola ai Tempi del Body Horror – Recensione

The Ugly Stepsister prende una fiaba che tutti conosciamo e la trascina in una sporca sala operatoria. Emilie Blichfeldt non ha interesse a raccontare una patinata storia sulla bella Cenerentola: ciò che le interessa è la sorellastra, quella definita “brutta”, quella che la tradizione mette subito nel ruolo dell’antagonista. Qui invece diventa protagonista, ed è proprio attraverso i suoi occhi che la fiaba si trasforma in un incubo contemporaneo fatto di complessi, delusioni, ossessioni e “bisturi”.

La Blichfeldt dimostra intelligenza non solo nello spostare l’attenzione sull’antagonista tradizionale, ma nel mantenere l’ossatura della fiaba pur corrompendola. L’ambientazione, pur essendo storica (si parla di un Principe e di un ballo), viene contaminata da elementi deliberatamente anacronistici e da un linguaggio visivo moderno. Questo crea una dissonanza temporale che sottolinea come i problemi di Elvira non siano confinati in un’epoca passata, ma siano ferocemente attuali.

Elvira, interpretata dall’ottima Lea Myren, vive in un mondo in cui non basta essere sé stessi. Il problema non è la sua intelligenza o la sua sensibilità, ma il suo aspetto: non conforme, non abbastanza vicino al modello di bellezza che garantisce successo, amore, riconoscimento. Da questo presupposto prende avvio un percorso di trasformazioni fisiche che diventano sempre più invasive e dolorose. Non c’è magia, non c’è metamorfosi fiabesca: c’è il corpo che si piega, si lacera, si ridimensiona, pur di aderire a un ideale che sembra diventare sempre più inarrivabile.

La Chirurgia Estetica come Nuovo Incantesimo e Body Horror Sociale

Il film mette in scena la chirurgia estetica come se fosse il nuovo incantesimo delle fiabe. Dove un tempo c’era la fata madrina con la bacchetta, qui c’è il chirurgo con i suoi attrezzi. Gli interventi a cui Elvira si sottopone vengono mostrati con crudezza, senza glamour e promesse di rinascita, solo la realtà di un corpo che viene brutalmente rimodellato per soddisfare standard imposti da altri.

In questo senso, The Ugly Stepsister si inserisce in modo coerente e pertinente nella recente rinascita del body horror cinematografico. Negli ultimissimi anni, questo filone ha visto un’esposizione significativa, rischiando talvolta di risultare banale o di abusare della violenza fisica solo per scioccare. Tuttavia, in film come questo (o nel parallelo The Substance) l’elemento della mostruosa trasformazione chirurgica è una scelta narrativamente necessaria, non forzata.

Il film riesce a dare forma visiva a una dinamica che tutti conosciamo: le diete, i filtri, i ritocchi digitali; tutto concorre a farci credere che l’accettazione passi per la trasformazione. La Blichfeldt lo porta all’estremo: non più solo virus o mutazioni incontrollabili (come nel body horror anni ’80), ma bisturi e filtri. Il vero mostro dei giorni nostri è l’ideale estetico che tentiamo di raggiungere. Le trasformazioni di Elvira, pur non essendo fantascientifiche, sono spinte a un eccesso tale da rendere la chirurgia una pratica violenta, quasi un rituale sacrificale, e il suo martirio un riflesso esasperato dei piccoli gesti quotidiani con cui cerchiamo di apparire “migliori” agli occhi degli altri.

Pregi, Limiti e L’Impatto Visivo

Il film ha una forza visiva notevole. Le scenografie sono volutamente claustrofobiche: stanze chiuse, specchi ovunque, un’illuminazione che alterna bagliori chirurgici a ombre gotiche. L’atmosfera è quella di una fiaba corrotta, in cui ogni promessa di bellezza porta con sé la minaccia della rovina. Lea Myren riesce a incarnare Elvira con una fisicità impressionante: il suo volto è allo stesso tempo maschera e confessione, bilanciando in modo convincente la sua iniziale ingenuità con la successiva ossessione disperata.

Non mancano i difetti. La sceneggiatura tende a ripetersi: alcuni passaggi ribadiscono più volte lo stesso concetto, e la struttura narrativa rischia di girare a vuoto nella parte centrale. I personaggi secondari, sebbene tematicamente essenziali, sono poco sviluppati a livello emotivo. Inoltre, alcune sequenze di body horror sembrano inserite più per scioccare che per far progredire la storia. Sono limiti non troppo fastidiosi, ma che impediscono al film di diventare davvero un’opera compatta.

Nonostante ciò, The Ugly Stepsister rimane un titolo interessante e che dirà la sua nell’attuale panorama cinematografico. Non perché sia perfetto, ma perché ha la furbizia di usare un genere attualmente molto in voga per parlare di qualcosa che più o meno tocca tutti.

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